17 agosto 1995, una data che ha segnato la storia del Milan e la carriera di Marco Van Basten, tra i giocatori più forti di sempre. Per molti, il numero uno. Non solo in rossonero.
Poche parole e il gelo nel cuore dei tifosi, prima delle lacrime sul campo. «La notizia è corta. Semplicemente ho deciso di smettere a fare il calciatore. Tutto lì». L’italiano non è mai stato perfetto, ma quel giorno, tra il deserto di Milano a fare eco, non conta nulla. Per il Milan il 17 agosto di 24 anni fa resterà una delle date più dolorose della sua storia. Più di una finale persa ai calci di rigori dopo essere andati in vantaggio 3-0. L’addio al calcio di Marco Van Basten brucia più della finale di Champions persa dieci anni dopo a Istanbul contro il Liverpool. Di Champions (o Coppe dei Campioni che dir si voglia) il Cigno di Utrecht ne ha alzate tre in otto anni in rossonero: a Barcellona nel 1989, al Prater di Vienna un anno dopo, ad Atene nel 1994 contro il suo maestro Johan Cruijff. E proprio ad Atene, nel 2007, il Milan raddrizzò capitolo dopo la propria storia vendicandosi del clamoroso ko in Turchia. Sugli allori un altro numero 9 della storia rossonera, Pippo Inzaghi, l’erede per natura di quella gloriosa maglia macchiata però da troppi gravi infortuni. Il calcio è strano, dà e toglie ma risolve sempre.
Marco arrivò a Milanello nell’estate del 1987 a parametro zero dall’Ajax. Un affare: il futuro tre volte Pallone d’Oro era a un passo dal vestire la maglia della Fiorentina, ma un problema nel pagamento del contratto fece saltare tutto. E riscrisse la storia. Van Basten era reduce da tre stagioni in Olanda da protagonista all’ombra di Cruijff. In carriera segnerà complessivamente 303 reti, 277 coi lancieri e il Milan, 24 con la Nazionale olandese e 2 con la selezione orange dell’Under 20.
Al suo primo anno in rossonero regala emozioni già all’esordio, con un gol al Bari in Coppa Italia e uno al Pisa in campionato. Il valzer degli infortuni però incomincia a tormentarlo. Ad Amsterdam la caviglia destra aveva ceduto un anno prima, a Milano anche la sinistra inizia a dare problemi. Rientra in campo dopo sei mesi di inattività e segna le reti decisive nelle sfide contro Empoli e Napoli che consegnano lo scudetto al Milan.
Nella stagione successiva il futuro Dream Team di Arrigo Sacchi ha una sola mission: brillare sul tetto d’Europa, farlo attraverso un calcio di puro spettacolo. Le emozioni della Coppa dei Campioni mancano ai rossoneri da ben 9 anni. Per provare la scalata, Sacchi si affida a un trio completamente olandese: Ruud Gullit, Frank Rijkaard e appunto Marco Van Basten. Il film a Milanello va in scena ancora oggi tra i locali della Club House, quell’anno diventa storia. La zampata di Marco lascia un segno indelebile: 33 gol, 10 dei quali in Coppa e un Pallone d’Oro alzato al cielo di San Siro. E ancora…un colpo di testa in tuffo contro il Real Madrid nella semifinale di andata, in Spagna, terminata 1-1, una rete nel 5-0 al Meazza al ritorno e una doppietta da urlo in finale contro lo Steaua Bucarest in un Camp Nou completamente a tinte rossonere. Firma anche la vittoria in Supercoppa ma è un dettaglio, una scintilla in più: il Pallone d’Oro del 1990 parla di nuovo olandese.
Inizia la stagione successiva sotto i ferri: operazione al menisco. Rientra dopo oltre due mesi di stop e in campionato timbra 19 gol. Dopo essere stato capocannoniere nella Eredivise, diventa il miglior marcatore anche in Serie A. Il Milan vince la sua seconda Coppa dei Campioni consecutiva, la terza della sua storia, e lo fa ancora con Marco Van Basten volto in copertina: suoi i gol contro Real, Mechelen e Bayern Monaco. Al Prater, in finale, non entra a tabellino ma consegna al connazionale Rijkaard il pallone del gol decisivo. Così come mesi dopo sigla le azioni che, a Tokyo, regalano ai rossoneri la vittoria contro l’Olimpia Asunciòn e la Coppa Intercontinentale. A fine stagione – si vociferava all’epoca – il Milan decide di interrompere il rapporto con Arrigo Sacchi per contrasti proprio con il talento olandese. Appunto, si dice.
In panchina arriva Fabio Capello e con il tecnico friulano un nuovo sistema di gioco che valorizza ancora di più le caratteristiche tecniche di Marco. La stagione 1991/1992 è tra le più prolifiche per il campione ex Ajax: 25 gol in campionato, graffio nel derby all’Inter, tripletta contro Foggia, Cagliari e Atalanta, quest’ultima in appena 6 minuti di gioco. La stagione successiva, invece, è quella dei poker al Napoli in campionato e al Goteborg in Champions Laague. Ed è quella del meritato terzo Pallone d’Oro in carriera, traguardo che prima di allora avevano raggiunto solo Cruijff e Michael Platini.
Come spesso era capitato in passato, dopo un viaggio in Paradiso Van Basten scende in purgatorio. Il giorno successivo alla consegna del Ballon d’Or, a St. Moritz viene operato alla caviglia. Rimane quattro mesi lontano dai campi e rientra solo ad aprile, a Udine. Una settimana dopo il Milan gioca ad Ancona: contro Alessandro Nista aveva segnato, il 13 settembre del 1987, il suo primo gol in Serie A, contro lo stesso portiere quel giorno realizza invece la sua ultima marcatura da giocatore. L’ultima partita in campionato la gioca invece il 16 maggio 1993 contro la Roma. Scende in campo in finale di Champions League contro l’Olympique Marsiglia nonostante la caviglia dolorante. È una sera triste, per lui e per il Milan.
A stagione conclusa si opera per la quarta volta. Dopo l’intervento alla caviglia passa due anni nel tentativo di recuperare l’efficienza fisica ma la sfida è impossibile. Inizia la stagione 1995/1996 con i compagni, a Milanello, ma il 17 agosto in conferenza stampa annuncia il ritiro. «La notizia è corta. Semplicemente ho deciso di smettere a fare il calciatore. Tutto lì». Il titolo per i giornali arriva però dalla voce dell’amministratore delegato del Milan, Adriano Galliani. «Il calcio perde il suo Leonardo da Vinci». Quello stesso anno Zucchero lancia il singolo “Il volo” e il testo sembra quasi scritto apposta per Marco Van Basten e i titoli di coda della sua brillante e tormentata carriera: …ci vuole un attimo per dirsi addio.
Sogno qualcosa di buono
che mi illumini il mondo
buono come te.