Il terzino del Milan Pierre Kalulu si racconta alla rivista Undici: l’esplosione all’arrivo in Italia, lo scudetto del 2022, i primi passi e la finale del Mondiale del 2006.
«Quando sono arrivato al Milan non solo non avevo mai giocato come professionista, ma non giocavo a calcio da tanto tempo in assoluto, perché c’era stata la pandemia. Non scendevo in campo da marzo. Non ho pensato alla pressione o al fatto di essere stato pagato poco. Ho solo detto: finalmente posso tornare a giocare a calcio!». Pierre Kalulu si racconta in un’intervista alla rivista Undici.
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«In questi tre anni sono cresciuto in tutto – dice il terzino francese –. Sono più forte, più veloce, più libero di testa, le cose mi vengono più naturali. E possono crescere in tutto. Posso essere ancora più deciso, soprattutto nei duelli aerei, e posso sempre leggere meglio le partite. Questo fa la differenza ad alto livello. Il ruolo che prediligo? Per me per essere perfetto devi saper giocare ovunque. Ti aiuta tantissimo: se vuoi essere titolare in un grande club, devi poter aiutare la squadra dove ne ha bisogno».
Milan: Kalulu, lo scudetto e l’importanza di Maldini
L’ex Lione, arrivato al Milan nel 2020, racconta le emozioni della sfida contro il Sassuolo del maggio dello scorso anno, decisiva per la vittoria del diciannovesimo scudetto: «A essere sincero non avevamo paura prima della partita. C’era un po’ quell’adrenalina di sempre, quella che hai prima di ogni gara, ma sapevamo di aver lavorato bene durante la settimana e durante tutta la stagione ed eravamo tranquilli. Non c’era più tensione del solito».
La presenza di Paolo Maldini nel Milan è stata fondamentale in questi anni: «Mi ha aiutato di più a capire quanto conta il calcio in Italia. Il tifo è pazzesco, la gente ti ama davvero. Quando andiamo in trasferta lui è sempre il più acclamato, anche se ha smesso di giocare più di dieci anni fa».
Il calcio secondo Kalulu è un mix di equilibrio e grinta: «Devi essere aggressivo sia in fase offensiva sia in fase difensiva, devi avere la volontà di comandare il gioco e non di subirlo. Questo tipo di calcio mi piace tantissimo». I primi passi con il pallone incollato ai piedi Pierre li ricorda benissimo: «Avevo tre o quattro anni, facevo un torneo con i miei fratelli maggiori in una piccola squadra vicino a casa mia che si chiama Saint-Fons. Era una partita di calcio a cinque con una tribuna soltanto, ma il campo mi sembrava enorme. Ho sempre in mente questo flash che dura trenta secondi, non me lo dimenticherò mai. Entro, ero piccolissimo, prendo la palla, faccio un uno-due, arrivo davanti alla porta, tiro… fuori!».
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Milan, Kalulu a tutto tondo: gli inizi, l’esplosione, l’importanza di Maldini
Kalulu e la finale del 2006
Così come nitido è il ricordo di Italia-Francia del 2006, ultimo atto del Mondiale tedesco: «Ricordo che siamo andati a casa dei miei cugini, eravamo tanti bambini, c’erano tre o quattro famiglie tutte insieme, un ambiente bellissimo. La finale era alla sera, ma siamo andati là già alle tre del pomeriggio. È stata l’unica partita di quel Mondiale che ho visto veramente, dal primo all’ultimo minuto, ero piccolo, avevo solo sei anni. Non capivo tutto, ma ricordo la sensazione di vedere tutti i miei parenti con un po’ di paura, tensione, eccetera… Lì ho capito che il calcio è una cosa che ti fa sentire vivo. Forse è per questo – conclude Kalulu –che sono diventato un calciatore».
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