L’ultimo saluto a Berlusconi, patron del Milan dal 1986 al 2017. Dall’inferno al paradiso, in rossonero vinse tutto. Il ricordo del direttore, Luca Rosia.
“Un folle sognatore” lo ha descritto Carlo Pellegatti. Ma Silvio Berlusconi non è stato solo un folle, sportivamente parlando è stato anche un genio. Tra follia e genialità, dopotutto, la differenza è una sola: il successo. Silvio Berlusconi, 31 anni di Milan e 29 trofei collezionati in bacheca, ha scritto pagine di storia indelebile del calcio italiano, europeo e mondiale. Ha vinto più di chiunque altro presidente di club, lo ha fatto credendo fin da subito nella forza della bellezza.
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Voleva un Milan bello e vincente
I Milan di Silvio Berlusconi sono stati, chi più e chi meno squadre che incantavano, davano spettacolo e spesso e volentieri raccoglievano applausi anche dai tifosi avversari. Quando quei Milan non ci riuscivano, quando la bellezza faticava ad esprimersi il Presidente era lì, in prima linea a raddrizzare la rotta. Voleva le due punte, voleva che il suo Milan attaccasse (memorabile un discorso in spogliatoio a Milanello con Pippo Inzaghi allenatore) voleva che il suo Milan imponesse il gioco sempre, comandasse su ogni campo contro tutto e contro tutti, anche l’inevitabile sfortuna.
Milan, il metodo Berlusconi
Negli anni ’90 il Milan dominò, erano altri tempi, il contesto italiano e internazionale profondamente diverso rispetto ad oggi. Raccolse il Diavolo tra le fiamme dell’inferno per condurlo alle porte del paradiso, all’inizio della sua missione il calcio cambiò completamente volto. Le grandi società inseguirono e si dovettero adeguare al nuovo metodo del Cavaliere, un obbligo per sopravvivere ai piani alti. Spese roboanti, colpi stellari, un blitz dietro l’altro. Con il fido Adriano Galliani in prima linea, il Milan firmò campioni su campioni e conquistò tutto quello che poteva vincere.
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L’Azienda Milan, una macchina invincibile
Da quando atterrò la prima volta con il suo elicottero bianco sul campo centrale di Milanello, Silvio Berlusconi diede al Milan una struttura aziendale. Gran parte del suo capolavoro sta proprio lì: responsabilità distribuite e obiettivo comune. Ogni figura che gravitava attorno al suo Milan, anche il più giovane dei giornalisti, per Berlusconi era un collaboratore. Lasciò nel 2017 perché quel calcio che contribuì a plasmare era diventato eccesso incontrollabile, preda sempre più di fondi internazionali e sceicchi annoiati.
Fu in un certo senso, Berlusconi, vittima di se stesso. Mai nessuno riuscirà ad eguagliarlo: Silvio e il suo Milan vinsero perché investirono risorse, tante, troppe, ma ci riuscirono soprattutto grazie a uno stile impeccabile. Con organizzazione e galanteria. Lo fecero fin da subito difendendo la bellezza, oggi, nel calcio dei giganti spendaccioni, sempre più una rarità.
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