Ansia e stress, pressing, videocassette di Sacchi, regola delle tre C e “ruota della sfortuna”. Storia e filosofia di Ralf Rangnick, il 61enne tedesco pronto a entrare prepotentemente nella storia del Milan 7 volte campione d’Europa.
Dopo il terremoto degli ultimi giorni e l’addio imminente di Zvonimir Boban, la nuova rivoluzione rossonera targata Elliot passerà anche dalla panchina. L’ad Ivan Gazidis ha deciso di puntare forte su un tecnico straniero, con un’intelligenza calcistica pazzesca ma che, di fatto, non conosce il nostro campionato e non ha mai allenato in grandi piazze. Il numero due di Casa Milan ha individuato in Ralf Rangnick il primo candidato alla guida tecnica del Milan della prossima stagione. Ma chi è Rangnick?
Partiamo da un presupposto: Ralf Rangnick è tutt’altro che uno sprovveduto ed è un ottimo allenatore, e questo stando a sentire l’umore dei tifosi deve entrare in testa. Ralf inizia a giocare a calcio nello Stoccarda, come centrocampista non è poi così male, ma il mister con gli scarpini ai piedi proprio non lo vede. Così comincia a girare la Germania nelle serie calcistiche inferiori e sbarca a Backnang, squadra tedesca del sud. Ecco, lì scatta la scintilla.
Ralf al pomeriggio si allena e di notte prende quaderno e penna e si appunta tutto quanto imparato negli allenamenti pomeridiani, sta letteralmente ore e ore a studiare. È stufo di giocare, vuole fare l’allenatore. Prende il patentino e diventa giocatore-allenatore del Club (eh no, non gli è mai piaciuto interessarsi solo a un ruolo…ma questo lo vedremo più avanti).
Poco distante, in un campo congelato, la Dynamo Kiev di Valeriy Lobanovsky si sta allenando e, dato che in Ucraina da dicembre a febbraio si interrompe il campionato perché altrimenti si rischia seriamente di restare congelati, la dirigenza del club decide di organizzare un’amichevole contro il piccolo team di Rangnick.
E arrivò il giorno. Passò circa mezz’ora quel gelido giorno e Ralf si fermò. Immobile. Gli sembrava che in campo ci fossero 15 giocatori, non undici. Lo squadrone di Lobanovsky guidato dai gol di Andriy Shevchenko non stava lasciando alla sua squadra neanche un secondo di respiro. Ralf è estasiato. Quel giorno Rangnick scopre il vero concetto di pressing e, ovviamente, ne studia ogni particolare. Il Ralf Rangnick come lo conosciamo oggi di fatto nasce quel giorno contro Sheva.
Impazzisce per quel tipo di calcio, e per la prima volta (probabilmente non l’ultima) il Milan entra nella sua vita. Si divora le videocassette dello squadrone sacchiano, impara tutto quello che c’era da imparare sulla sua filosofia nei minimi particolari. E grazie a questo inizia a farsi seriamente una carriera e diventa famoso in tutta la Germania.
È il 1998 e una serie tv sportiva nazionale (la nostra Domenica Sportiva per intenderci) lo presenta al pubblico. Lui spiega, di fronte a una lavagna, l’arte del pressing (siamo negli anni novanta, si parla di uno stile semi-sconosciuto) e la gente rimane pietrificata da quel tedesco con gli occhiali che racconta un calcio futuristico e mai raccontato prima nel Paese. Il giorno successivo i giornalisti tedeschi se ne escono col soprannome che gli è rimasto fino ad oggi: “il professore”. Comincia quindi a prendere piede la carriera di uno degli allenatori più conosciuti della Bundesliga.
Sono poi arrivati, negli anni, alti e bassi. Come è giusto e normale che sia. Gli interisti se lo ricordano bene, perché era lui l’allenatore di quello Schalke 04 che batté a San Siro l’Inter per 5-2, eliminando i campioni d’Europa in carica. Ma Rangnick non durò molto. A settembre infatti lasciò lo Schalke per sua volontà. Troppo stress e conseguente esaurimento nervoso, disse: «Tornavo a casa la sera dopo un’intera giornata di stress e parole. E dimenticavo di mangiare. Così quando mangiavo, esageravo con i carboidrati e bevevo molta birra. Quello era cibo tossico e, ad un certo punto, ho perso energia.» Ormai lo avete capito bene, questo allenatore è strano, o sarebbe meglio dire diverso da tutti gli altri.
La svolta arriva negli ultimi 15 anni, perché è dal 2006 che Rangnick inizia a ricoprire il ruolo di manager a tutti gli effetti. Si lega principalmente a due squadre: Hoffenheim e RB Lipsia. Due sue creature, in tutti i sensi. Arrivato costruisce a trasforma due progetti in realtà a livello europeo. Certo, in entrambi i casi non è mancata la disponibilità economica del Club.
All’Hoffenheim Rangnick è stato l’allenatore dal 2006 al 2011 e ha portato la squadra dalla Serie C alla Bundesliga. Dietmar Hop (controverso proprietario del Club, recentemente contestato pesantemente da quasi tutte le squadre tedesche) lo aveva scelto per far diventare grande la sua creatura. Missione compiuta.
Così, nel 2012, lo chiama la Red Bull, con un compito ancora più complicato. Rangnick diventa il direttore sportivo delle due squadre legate al marchio: Salisburgo e Lipsia. Di talenti dalle sue parti ne passano parecchi. Poi nel 2015 Rangnick assume l’incarico di tecnico del Lipsia, mettendo da parte il ruolo dirigenziale che aveva precedentemente in Austria.
Dopo una sola stagione (segnata dallo sbarco del Lipsia in Bundesliga) fa un altro “step down” e sceglie Häsenutthel come allenatore di quella che sarebbe diventata una squadra top in Germania e non solo, capace di lottare per il primato in classifica e vincere un ottavo di Champions in casa del Tottenham di Mourinho. Insomma, dietro le quinte del miracolo RB (che non sta per Red Bull ma per Rasenball, perché in Germania dare a una squadra il nome di un brand extra-calcistico è proibito e la Red Bull con astuzia s’è letteralmente inventata una parola senza significato, Lipsia appunto) c’è Ralf Rangnick.
Ma non è finita, perché dopo Häsenutthel al Lipsia torna lui, annunciando, di fatto un anno prima, l’allenatore della stagione seguente: Julen Nagelsmann. Così dopo l’arrivo del giovane tedesco rientra negli assetti dirigenziali a tutti gli effetti, assumendo il ruolo di Head of sport and Development Soccer della Red Bull.
Secondo Rangnick, per avere successo ci sono tre parole fondamentali: capitale, competenza e concetto. Descritte dalla stampa tedesca come “le 3 C del professore”. Capitale, perché ovunque ha lavorato ha sempre avuto a disposizione risorse economiche importanti. Attenzione però, non solo per il mercato. Prima all’Hoffenheim e poi al Lipsia sono stati investiti milioni in campo tecnologico e nella ricerca per nuove tecniche di allenamento. Un esempio lampante è la “Soccerbot” a Lipsia, una macchina che simula le partite già giocate e fornisce ai giocatori la possibilità di simulare alcune situazioni di gioco. Per questo, se dovesse davvero arrivare al Milan, il pacchetto Rangnick non prevede soltanto cambiamenti in campo, ma anche oltre il rettangolo verde. Dalle strutture ai campi di allenamento, un modo completamente diverso di vedere il calcio. Lo voleva anche il Bayern, ma il suo modo di vedere il calcio avrebbe rivoluzionato la Società totalmente, e dalle parti di Monaco non ne avevano (ancora) intenzione.
Una delle tante altre particolarità di Rangnick è “la ruota della sventura”. Questa consiste in alcuni particolari metodi alternativi alle classiche multe per chi viola il regolamento interno al Club. Quando questo succede, la ruota gira fermandosi su varie “punizioni” da lui ideate, ad esempio tagliare l’erba del campo, illustrare ai tifosi i musei della squadra, gonfiare e distribuire i palloni all’allenamento, svolgere la seduta in programma indossando un abito da ballerina. Insomma, con lui al comando rigare dritti in spogliatoio è molto più semplice. Le sue squadre inoltre sono state sempre molto giovani, motivo in più che ci spiega i perché oggi piaccia a Ivan Gazidis.