Gli esperti frenano: niente fughe in avanti. L’Italia si scontra con un problema di impianti desueti, non completamente adatti a una riconversione anti Covid.
La partita resta aperta perché intrisa di troppi quesiti. Cosa ne sarà del calcio vissuto sugli spalti nella fasi 2, 3 e 4 in coda alla pandemia che ha bloccato il pianeta? La seconda si aprirà a giorni, lentamente, dinnanzi alla nostra voglia di libertà e mira a “convivere con il virus”. Un nemico invasivo ieri e più dormiente oggi, annoiato come noi del lockdown ma crudele e vivo più che mai. La fase 3 e quella successiva avvicinerà il mondo a una nuova normalità, tutti oggi la invochiamo nel ricordo dei bei tempi che furono.
Stadi chiusi Serie A: oggi troppa confusione
Gli stadi, come le discoteche, le arene, le grandi piazze di vita e intrattenimento sono alleate del virus e quindi bandite per il momento dal ritorno graduale alla libertà smarrita. Ma questo “momento”, che tanto ci deprime, quanto potrà effettivamente durare? Domanda che tutti noi ci poniamo ma alla quale facciamo molta fatica a trovare una risposta che ci soddisfi. A dirla tutta, anche esperti di settore, politici e uomini di scienza non hanno una visione chiara all’orizzonte, della malattia e del suo sviluppo. In questo contesto, trovare una ricetta funzionale e il trattamento è compito complesso e delicato. Non si naviga a vista, ma il sentore è che ci sia ancora troppa confusione su più linee di pensiero. D’altronde, Sars-CoV2 è nemico nuovo e senza un vissuto, senza una piena storia analitica da poter esaminare per scovarne meglio i punti deboli.
I luoghi di assembramento sono vietati, ma qualcosa dovrà pur muoversi se il mondo vorrà incamminarsi verso un nuovo “vivere sostenibile”. Lo scontro in tema di impianti sportivi si scurisce di giorno in giorno coperto da nuvoloni carichi di tempesta, tutt’altro che passeggeri: «Bastano pochi contagi in una folla di 60mila persone perché ci sia il rischio che accada qualcosa di grave» ha spiegato l’epidemiologo americano Zach Binney, della Emory University di Atlanta, sulle pagine del Times. Ne sanno qualcosa migliaia di quei 46.000 spettatori che lo scorso 19 febbraio si diedero appuntamento a San Siro per Atalanta-Valencia di Champions League. Le parole di Zach Binney rimbalzano in Italia riportate dal Corriere della Sera e sono una pugnalata al petto di tifosi e appassionati: «A meno di miracoli, dovremo privarci a lungo di questo piacere». Tradotto: per miracoli si intende l’arrivo immediato di un vaccino per ottenere la cosiddetta “immunità di gregge”. Ma qui, grand parte del mondo degli scienziati ha già smorzato gli entusiasmi predicando pazienza: per un vaccino davvero efficace ci vorrà molto tempo.
Stadi chiusi Serie A: il futuro non è domani
«Dovremo privarci a lungo di questo piacere». Ma per quanto tempo? Il rischio è che il digiuno duri addirittura un anno e mezzo, diciotto mesi. Il prossimo campionato di Serie A, quindi, potrebbe disputarsi dalla prima all’ultima giornata a porte chiuse. Scenario estremo ma non da scartare, anche se difficilmente verrebbe digerito dai vertici del calcio, dai club, dalla Lega e dalla Federazione, in Italia così come a livello europeo. Più probabile quindi che la soluzione si sposti verso un compromesso tra i sold out e le tribune deserte, ma che tenga in ogni caso conto di alcune rigorose condizioni di messa in sicurezza delle strutture. Il buonsenso suggerirebbe oggi di accantonare scontri di potere ed energie sul campionato “in corso” da concludere e iniziare invece a pensare al futuro, alle prossime stagioni, a come ad esempio convertire gli stadi e rivedere parte dei progetti di quelli del domani, compreso quindi il nuovo San Siro che sognano di costruire Milan e Inter.
Stadi chiusi Serie A: un fitto albero di problemi
«Controlli, distanziamento e automazione» sono i tre punti fermi per una ripresa sicura, a tutela della salute pubblica. La previsione più limpida arriva per bocca di Mark Fenwick, architetto di fama internazionale specializzato nella costruzione di grandi impianti sportivi: bisognerà pensare a una «riduzione – dice – della capienza per aumentare lo spazio fra gli spettatori». Il tavolo di confronto è più disordinato di quanto si possa pensare: ogni risposta al problema si ramifica in nuovi dubbi e ostacoli nascosti. Nelle curve, ad esempio, tradizionalmente i settori più affollati degli impianti e spesso saturi di posti a sedere (peraltro quasi mai occupati: è regola non scritta che “i veri ultras tifino in piedi”) come si potrà garantire il distanziamento sociale? Tralasciando poi che molti degli stadi italiani – fatiscenti – non sarebbero idonei a una totale riconversione: seggiolini troppo vicini tra loro, locali igienici spesso di dimensioni contenute, vie di entrata agli spalti e fughe per il deflusso oggi non separate.
Insomma, la partita contro il Coronavirus è dura da vincere anche su questo fronte. Una situazione con la quale dobbiamo, a malincuore, convivere tutti quanti affrontandola con intelligenza e sacrificio, nella speranza che la nuova normalità arrivi il prima possibile, magari diversa da quella di ieri ma non necessariamente peggiore. Nella speranza che la curva dell’epidemia crolli e quella attorno al campo torni a salire*, a saltare e a intonare cori. A sventolare bandiere, qualunque colore essa rappresenti.
* con la preziosa collaborazione di Stefano, Presidente del Milan Club Padova 1965.